giovedì 4 giugno 2009

Il discorso di Obama e le sue attese


Tra poche ore Obama farà il suo discorso ufficiale all'Università del Cairo (l'Egitto è il paese dove vive un quarto della popolazione araba totale). C'è molta attesa e molte aspettative riguardo a questo significativo evento. Si crede e si spera possa rappresentare una svolta nella politica internazionale del dopo-Bush, innanzitutto rappresentata da un atteggiamento più fermo ed indipendente da Israele. Questo atteggiamento più equidistante, unito alla rinuncia dell'idea che si possa imporre con la forza militare la cosiddetta "democrazia" occidentale (gli Stati Uniti «non sono e non saranno mai in guerra contro l’Islam» ha già proclamato Obama in Turchia), potrebbe creare le premesse per un dialogo ed una riconciliazione tra il mondo occidentale e quello islamico, con riferimenti nuovi per le questioni critiche aperte in medio-oriente, la questione palestinese in primo luogo, ma anche l'Iraq, l'Afghanistan, l'Iran (alla vigilia di importanti elezioni), e più in generale in tutta la serie di delicati equilibri tra stati di quell'area, legati strettamente anche alla questione religiosa. Si pensa infatti che un nuovo e chiaramente critico col recente passato atteggiamento degli Stati Uniti, se ritenuto sufficientemente credibile, possa far leva sulla parte moderata del mondo arabo in modo da dargli maggior forza e consentire di contrastare e battere la parte dell'estremismo religioso, quello che sostiene ed alimenta (teoricamente se non materialmente) il terrorismo di ispirazione islamica. Non a caso, in coincidenza con l'arrivo di Obama in Arabia Saudita, sono arrivati i messaggi di Al Queda per mettere in guardia dal credere al nuovo corso della politica statunitense.

C'è tuttavia anche dalla parte occidentale chi mostra scetticismo nei confronti della svolta obamiana. Il tentativo di apertura di dialogo nei confronti dell'Iran, ad esempio, ha determinato contraccolpi di preoccupazione, oltre che in Israele, proprio da parte di quei paesi arabi moderati che si vorrebbe sostenere, ma che temono la propensione espansionistica (dal punto di vista politico-religioso) di quel paese, almeno con al governo una figura come Ahmadinejad. Inoltre c'è chi non crede possibile una distinzione tra paesi moderati e non, in quanto i rapporti di quei paesi sono storicamente dominati da rivalità e contrasti che prescindono o vivono all'interno stesso della fede islamica.
Scrive Carlo Panella sul suo blog: "Il presidente americano non lo sa neanche, ma l'università di al Azhar da cui ha improvvidamente deciso di lanciare un messaggio di pace all'Islam, è il simbolo stesso del fallimento della sua iniziativa propagandistica. Per i teologi di al Azhar, infatti, chi pubblicamente abbandona l'Islam è apostata e va ucciso. Punto. Questo è l'Islam ''moderato'' a cui Obama si rivolge senza averlo studiato, capito, analizzato. Tutta fuffa, al solito, tutto buonismo, tutto politically correct. Le sue ci si può scommettere, saranno parole alte e ben dette. Ma non scalfirà nulla di una realtà che vede lo stato palestinese impossibile non perché Nethanyau non vuole, ma perché Hamas e Al fatah si massacrano già oggi e domani, controllandolo si massacrerebbero ancora di più; che vede l'Iran preparare l'atomica non solo per distruggere Israele, ma anche per destabilizzare tutti i paesi sunniti del Golfo e oltre; che vede il genocida sudanese Omar al Beshir ricevuto ovunque nei paesi musulmani come un eroe, solo e proprio perché l'Onu l'ha incriminato per reati contro l'umanità. A tutto questo Obama non darà nessuna risposta: parlerà di buoni sentimenti, farà un figurone. Poi, quando finalmente prenderà atto della realtà, combinerà i suoi guai, come e peggio di Bush"

Staremo a vedere.


Il testo integrale del discorso in italiano

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