mercoledì 10 giugno 2009

Non ci siamo

Esponenti in vista del partito hanno affermato che il risultato relativamente deludente di queste ultime elezioni sia stato viziato da una campagna calunniosa ed assurda nei confronti del leader del PDL, oltre che viziato, dal punto di vista del numero delle preferenze personali a Silvio Berlusconi, da un banale malinteso dei propri elettori, che in gran numero non avrebbero avuto chiaro che per esprimere il proprio consenso nei confronti del premier fosse necessario scriverne esplicitamente il nome, e non solamente barrarlo dove era indicato sul simbolo del PDL.

Non ci siamo.

Una delle cose da correggere al più presto all’interno del PDL è lo yesmenismo, cioè la malsupposta idea che il capo non possa e non debba essere contraddetto, nemmeno se sbaglia. Questo già sarebbe un utile presupposto per poter pensare ad un vero confronto democratico al suo interno. Cosa che ora non esiste. Perché nessuno - Fini a parte - ha il coraggio e la forza necessaria per esprimere le proprie idee ed opinioni.

Il capo attuale del PDL non è in discussione. Tutti ne riconoscono i meriti e le qualità, soprattutto rappresentati dalla capacità maieutica nell'aver saputo catalizzare e reso possibile la nascita di un grande centro-destra italiano. Ma per far crescere e maturare un vero partito bisogna che al suo interno possa avvenire un reale confronto di idee ed opinioni. Poi il capo decide, non c'è dubbio, ma non prima di aver avuto modo di confrontare la sua scelta con le altre possibili. E questo nell’interesse sia suo (evitando errori non considerati) che del partito (che ha modo di crescere e arricchirsi delle sue identità diverse). Anche perché la vera qualità di un capo non è tanto quella di saper imporre, ma di saper convincere.

Da questo punto di vista, il I° congresso del PDL è stato molto deludente, per non dire disastroso: l’ennesima esibizione del Berlusconismo elevato a potenza. Con l'unica eccezione di un singolo, ma grandissimo, intervento - quello di Gianfranco Fini - che ha avuto il merito di non far morire sul nascere le speranze della nascita di un vero partito in tanti che vorrebbero crederlo possibile. Un partito che, essendo grande e dunque necessariamente composto di anime e sensibilità diverse, deve comprendere che queste diversità non solo non sono un suo limite, ma ne rappresentano la sua forza e la sua ricchezza.

Il risultato di queste ultime elezioni va colto sia riconoscendone gli aspetti positivi (il PDL e Lega si confermano nel loro ruolo dominante nella politica italiana su quella che dovrebbe esserne l’opposizione), sia comprendendone i suoi aspetti negativi: l’eccessiva esposizione personalistica del suo leader. Che tale eccessiva esposizione ha pagato in questa circostanza.
Il comunque buon risultato attuale del PDL, a mio parere, è solo il frutto del buon agire del suo governo, più che una conferma del suo successo personale. E di questo dovrebbe rendersene conto. E rinunciare a perseguire la sublimazione di sé stesso.

Far tesoro degli errori commessi nel passato è il miglior modo di crescere.

Spero che Berlusconi capisca ed ammetta i suoi errori: sarebbe il modo migliore per riaffermare la sua leadership. E di dare la giusta sterzata al suo partito.

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