venerdì 28 maggio 2010

Primo: non dimenticare

Ci sono fatti che non si possono dimenticare e dei quali non è possibile ancor oggi farsi una ragione. Ma che hanno almeno il pregio - a distanza di tempo - di permettere una percezione immediata del significato di questioni importanti e delicate come giusto processo, libertà di stampa e gogna mediatica.

"Chiedo scusa, profondamente scusa, ai familiari di Enzo Tortora. Mi rivolgo soprattutto alle figlie Gaia e Silvia, che hanno patito l'inferno per colpa mia. È difficile che accettino di perdonarmi, lo so, ma sento il dovere di contribuire con la massima onestà a questa storia. Voglio dichiarare una volta per tutte che il presentatore Tortora era innocente. Che non c'entrava con la camorra, la droga o qualsiasi forma di malavita organizzata. Tortora è stato una vittima, e come tale va onorato. Lo ribadisco ora che sono uscito dal carcere e riassaporo la libertà: vorrei fosse vivo, Tortora, per inginocchiarmi davanti a lui. Una persona perbene, finita nel tritacarne delle menzogne".
Gianni Melluso

Discutendo oggi di libertà di stampa e di difesa dell'art.21, sia pure a proposito di aspetti particolari e diversi come la questione della pubblicazione non di accuse formali ma di semplici intercettazioni, trovo che mantenere ben vivo il ricordo di quei fatti è sempre comunque utile, salutare e opportuno. Mai abbastanza.

Ancora adesso, racconta Melluso, ripensa ai suoi confronti con Tortora davanti agli inquirenti. «Si difendeva a denti stretti, con gli occhi disperati, come soltanto gli innocenti riescono a fare. Mi urlava in faccia: "Chi ti conosce, Melluso?". E io, per tutta risposta, lo chiamavo Enzino coprendolo di fango. Anche se molti non ci crederanno, l'ho distrutto a malincuore, ma era l'unica soluzione per accontentare i boss e salvarmi la pelle».

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