domenica 27 maggio 2007

LA RIVOLUZIONE NEL MERITO

"Chi fa tutti i giorni il proprio dovere, ma non ha una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge, si accorge sempre più sovente che il gioco è truccato. Che non c'è rapporto tra i sacrifici, lo sforzo, la dedizione ed i risultati che si ottengono.(...) Queste diseguaglianze hanno un comune denominatore: un tragico deficit di meritocrazia, non solo a livello individuale ma anche a livello di istituzioni. Al lavoratore precario che tira la carretta negli uffici pubblici non fa piacere scoprire che la persona che è chiamata a sostituire guadagna dieci volte di più, produce dieci volte di meno ed è inamovibile qualsiasi cosa faccia o non faccia. Ai governatori delle regioni virtuose, che hanno ben amministrato la sanità, non fa piacere scoprire che non ci sono né veri premi per chi ha ben operato né vere punizioni per chi ha lasciato bilanci in rosso per miliardi di euro. (...) Ai cittadini che rispettano le leggi non piace accorgersi che i furbi ed i delinquenti quasi sempre riescono a farla franca. Agli immigrati onesti, che lavorano, pagano le tasse e rispettano le regole, non piace essere guardati con sospetto perché una minoranza di stranieri può spadroneggiare in interi quartieri della città. (...) Fino ad un certo punto livellare le differenze produce eguaglianza, ma oltre quel punto produce nuove e più profonde diseguaglianze. Perché non tutti i diritti sono a costo zero, e sempre più sovente difendere ad oltranza i diritti di qualcuno implica limitare gravemente quelli di qualcun altro, sia esso un individuo od un gruppo. Quel punto di non ritorno, oltre il quale l'egualitarismo diventa generatore di ingiustizie, è ormai da lungo tempo stato attraversato. E' su questo che la sinistra è in ritardo ed è per questo che le sue organizzazioni - partiti e sindacati - sono diventate delle grandi ed inconsapevoli macchine per produrre disuguaglianza. (...) se non sarà la sinistra a guidare una salutare reazione, finirà per pensarci la destra. Peccato, perché ci eravamo abituati, con Norberto Bobbio, a pensare che la lotta alla diseguaglianza - ossia a tutte le differenze inique - fosse la cifra di un'autentica cultura di sinistra."

Tutto l'articolo lo trovi qui: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=3021&ID

Così ha scritto Luca Ricolfi sulla Stampa ("Il merito e l'umile Italia" del 26/05/07) a proposito del "generale senso di ingiustizia", quel "diffuso senso di frustrazione e di rabbia" che oggi pervaderebbe tutti i cittadini, di ogni ceto politico, di destra e di sinistra. "La gente, poco per volta ma inesorabilmente, si sta rendendo conto che l'immobilismo del ceto politico sta alimentando un mare di ingiustizie, che però la politica non ha occhiali per vedere", inoltre "l'inconcludenza dei politici ha dei costi diffusi ed enormi". "Oggi non c'è solo disgusto, sfiducia, ira verso una classe politica inadeguata (per usare un eufemismo)." "Non c'è solo indignazione per la vanità ed i privilegi della "casta". Oggi c'è qualcosa di molto più ampio, che tocca il ceto politico non solo in quanto ruba e vive a sbafo, ma in quanto non sa decidere, e non decidendo perpetua il malfunzionamento dell'Italia."

Come non condividere l'analisi di Ricolfi? Tuttavia forse è opportuno fare alcune puntualizzazioni:

1) a proposito dell'immobilismo politico attuale, questo va riferito all'attuale maggioranza di centro-sinistra, sia per la situazione di stallo istituzionale per l'esiguo margine di vittoria elettorale, sia per la eccessiva eterogeneità della sua composizione interna, che comporta una conflittualità insanabile ed irriducibile.

2) l'immobilismo riguarda solo la politica che attiene agli interessi veri dei cittadini e della nazione (sistema pensionistico, ammortizzatori sociali, precariato, povertà crescente, criminalità, immigrazione clandestina) perché, di converso, l'attuale maggioranza è assai attiva nell'intervenire nel riassestamento dei vertici dei grandi gruppi bancari ed economici, a vantaggio degli amici ed degli amici degli amici (vedi il piano Rovati per Telecom, il contrasto nei confronti di AT&T, le condizioni per la vendita di Alitalia, con il subentro di BancaIntesa del fidato Bazoli, l'affinità per gli spagnoli riguardo la cessione della Società Autostrade, la benedizione del consolidamento del gruppo Unicredit-Capitalia di Profumo e Geronzi, le pseudoliberalizzazioni ad hoc, con i farmaci e la benzina venduta dalle Coop, ecc.), salvo poi il tentativo di lanciare bordate a Mediaset (legge Gentiloni) ed a Berlusconi (legge sul conflitto di interessi) .

3) molto attiva è inoltre l'azione di pressione e di spremimento contributivo e fiscale, con la creazione di un sistema di controllo e di intimidazione che viene vieppiù percepito come asfissiante e vessatorio, addirittura insostenibile, a giudizio dell'Ordine dei Commercialisti, che proprio di recente ha manifestato una clamorosa protesta sulle pagine di alcuni importanti quotidiani (la si può vedere qui: http://www.cndc.it/CMS/Documenti/1925_eopxyopzjj.pdf ).

Questa attuale, pur essendo indubbiamente una crisi del sistema politico-istituzionale in generale, è una crisi che investe in misura preponderante la parte progressista, ex-comunista, ex-socialista, della classe politica italiana ed europea, che appare priva di punti di riferimento certi, confusa e disorientata (a parte la pervicace e sistematica occupazione di ogni possibile ganglio di potere). Lo stentato tentativo di creazione del partito democratico, con i suoi dubbi ed incertezze, ben riflette tale situazione di sbandamento culturale e politico.

Per questo oramai diverse personalità di sinistra, di indubbio valore e spessore, manifestano pubblicamente la loro insofferenza ed il loro dissenso nei confronti della leadership politica attuale, come ad esempio Nicola Rossi ( http://hurricane_53.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1507089 ) e Giampaolo Pansa ( http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2007/05_Maggio/27/pansa_strappo_sinistra.shtml ).

Luca Ricolfi, nell'articolo ricordato, suggerisce, come punto di partenza di riflessione, di puntare sulla meritocrazia.

Una società basata sul merito, nell'università, nello stato, nella politica, consentirebbe l'eliminazione, o quantomeno la riduzione, di tutti quei fenomeni di parassitismo, di clientelismo, di nepotismo, di privilegio di casta, che costituiscono un elemento di grave ingiustizia ed inefficenza della nostra società. Per consentire la meritocrazia, però, occorre anche rinunciare all'idea di uguaglianza: solo se accettiamo l'idea che esistono dei migliori, che in quanto tali, è giusto privilegiare e premiare, di converso ci saranno dei peggiori, che di conseguenza andranno relegati o stimolati.

Questo principio si combina positivamente col principio della responsabilizzazione: se so che comportandomi bene otterrò dei vantaggi, sarò stimolato a far ancora bene in futuro; al contrario, se so che operando male ne subirò un danno, cercherò di evitarlo. Perché questo meccanismo possa funzionare, non devono esistere trucchi o associazioni corporative che lo inibiscano. In questa logica dovrebbe essere possibile, ad esempio, licenziare o rimuovere un addetto disonesto o inefficente nel suo incarico. Inoltre dovrebbe essere possibile differenziare la retribuzione di addetti con lo stesso impiego, ma con differenti capacità di risultato. Insomma, applicare a tutti i livelli le logiche ed i meccanismi validi nella libera impresa, dove quel che conta è solo quello che riesci a fare, come lo sai fare e quanto riesci a farlo.


Dubito che principi del genere possano essere mai accettati da parte della sinistra, mio caro Prof. Ricolfi.

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