Aldilà delle perplessità puramente politico-istituzionali e quelle su alcune discutibili affermazioni (“Vuole togliersi soltanto una scomodità" riferito al padre di Eluana) e comportamenti (il pretendere l'unanimità in CdM anche da parte di ministri dubbiosi come la Prestigiacomo) del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, considero quello suscitato dal caso Eluana un momento di reale crescita di maturità e consapevolezza civica del paese. Che non passerà invano.
Trovo sincero e profondo - e non solo dal punto di vista emotivo - il senso di partecipazione, il reale coinvolgimento (a prescindere dai diversi schieramenti) della grandissima parte dei cittadini al caso di Eluana. E questo lo trovo umanamente confortante. Un po' come avvenne al momento del dibattito per altre grandi battaglie civili nel nostro paese, come il divorzio e la interruzione volontaria della gravidanza.
Che da questa crescita culturale ne possa derivare una reale crescita in termini legislativi, poi, è un altro paio di maniche.
Scrive oggi su La Stampa Luca Ricolfi: "Da dilemmi come questi, purtroppo, non si esce mai con una legge giusta, ma solo con una legge rispettosa, che cioè rispecchi il più fedelmente possibile la sensibilità prevalente in una certa società e in un certo tempo, e possibilmente non umili la sensibilità di chi pensa controcorrente. Per questo è essenziale depoliticizzare il dibattito pubblico. Se sai che non può esistere la soluzione giusta, se sai che il tuo punto di vista non è l’unico possibile, se sai che la risposta alla maggior parte delle tue domande è «non possiamo saperlo», diventa naturale abbandonare il linguaggio della certezza e dello scontro, e passare al più civile registro del dubbio. Non cercare di imporre le certezze della maggioranza parlamentare, ma cercare di ascoltare i dubbi della minoranza. Anche perché, non appena si parla di temi come questi, i concetti di maggioranza e minoranza diventano assai fluidi: il governo potrebbe avere i numeri per imporre una legge in Parlamento, ma un referendum potrebbe riservargli un’amara sorpresa."
Fin quì si è parlato tuttavia solo della questione del "testamento biologico", cioè della possibilità del rifiuto di terapie e trattamenti medici in situazioni che non consentano al soggetto di esprimersi.
Tuttavia, una delle mie maggiori perplessità, proprio sulla questione di Eluana ed in particolare sulla sentenza definitiva dell'ultimo grado di giudizio, riguarda le sue modalità di applicazione: consentire di togliere alimentazione ed idratazione ad un essere in stato vegetativo permanente. Facendolo così morire di inedia.
Non è ipocrita (oltre che non dimostrabile) cavarsela con un 'tanto non soffre e non sente nulla'?
Non è cinico sostenere e qualificare un atto del genere come semplice esecuzione di un parere definitivo dell'ultimo grado di un tribunale?
Non sono proprio valutazioni di questo tipo a poter, non dico giustificare, ma rendere almeno non incomprensibili le posizioni estreme assunte dal capo del governo esecutivo del paese?
Non sarebbe stato allora più accettabile (almeno meno 'disumano') sostenere una vera 'eutanasia' (parola il cui significato etimologico è "dolce morte"), cioè far sì di ottemperare alla volontà di rinuncia al proseguimento di trattamenti medici che prolunghino il suo stato attuale, ma facendolo in modo di garantire condizioni che assicurino la mancanza di dolore e di sofferenza?
L'ipocrisia più grande in questa vicenda, a mio parere, è proprio il non voler affrontare apertamente il vero tema in ballo: l'eutanasia. Trovo ancor più ipocrita, oltreché cinico, il poter ritenere 'corretto' far morire un essere in stato vegetativo permanente togliendo alimentazione ed idratazione per la sola ragione di non voler far passare questo atto per quello che dovrebbe più correttamente e civilmente essere: determinare la fine di uno stato ritenuto non più accettabile e procrastinabile nella maniera più dolce ed indolore possibile.
domenica 8 febbraio 2009
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