"Signor Presidente, cari colleghi, in questi mesi, come è mia abitudine, ho molto ascoltato. Ma oggi mi sento moralmente in dovere di prendere la parola. Vi parlo per ciò che sono io, per quello che rappresento per i cittadini: un medico, un uomo di scienza che, per più di cinquant'anni, è stato vicino ai malati di cancro (che ha aiutato a guarire e a vivere a lungo, molto a lungo), ma vicino anche alla sofferenza, al dolore, alla morte.
Per questo da molti anni ho lanciato il movimento per il testamento biologico e, su questo argomento, ho scritto quattro libri (non uno, ma quattro libri), per un totale di duemila pagine. Perché il tema è complesso, è difficile, è delicato. Per questo sono sconvolto oggi.
Sono sconvolto dalla singolare, direi assurda, procedura cui stiamo assistendo. Una legge dello Stato, che riguarda la libertà individuale, verrebbe sbrigativamente decisa sull'onda delle emozioni sollevate da un caso mediatico. Perché questo è il caso di Eluana: un caso mediatico. Perché non ha nulla di diverso, dal punto di vista scientifico e umano, da altri centinaia di casi di coma vegetativo permanente nel nostro Paese, di cui nessuno si occupa. Dietro a una legge emanata per Eluana non ci sarebbe, dunque, né logica, né razionalità, ma essenzialmente un'onda emotiva, che per sua natura è passeggera e, soprattutto, è una cattiva consigliera.
Non c'è dubbio che il caso di Eluana sia stato accompagnato da una pessima informazione. Ma questo non è un alibi per evitare di affrontare lucidamente il problema. Si tratta di un problema di civiltà, che riguarda l'invasione della tecnologia medica nella vita umana.
Mi trovo d'accordo con il filosofo cattolico, cattolicissimo, Giovanni Reale, quando vede nel caso di Eluana - sono sue parole - un abuso da parte di una civiltà tecnologica che vuole sostituirsi alla natura. Quando avverte che si è perduta la saggezza della giusta misura e la Chiesa e il Governo sono vittime di questo paradigma dominante, che vorrebbe tenere in vita Eluana contro la natura e, infine, quando cita Papa Wojtyla, che, rispondendo ai medici che gli offrivano di continuare a curarlo, disse: «Lasciatemi tornare alla casa del Padre».
Vedete, mantenere insieme un complesso di organi e cellule in una vita artificiale è un atto contro natura: oggi, tecnologicamente la medicina è in grado di mantenere in stato vegetativo un corpo senza attività cerebrali quasi all'infinito, ma il fatto che lo si possa fare tecnicamente, non significa che lo si debba fare eticamente.
Penso sia una mostruosità e come me la pensano migliaia e migliaia di cittadini, terrorizzati dalla prevaricazione violenta della medicina tecnologica nella propria vita. Lo dico da uomo di scienza: la tecnologia non ha limiti in sé e se noi, la società e le sue istituzioni non ci impegniamo a tracciare questi limiti rispetto alla vita dell'uomo, chi mai lo potrà fare?
Conosco bene la normativa italiana sul diritto di cura, perché ogni giorno la applico e la vivo insieme ai miei medici e ai miei malati: la nostra legge garantisce la possibilità di rifiutare ogni trattamento, anche di semplice sostegno, come le trasfusioni di sangue e la nutrizione artificiale; abolire questo dritto sarebbe un atto molto grave, che minaccia alle radici il principio di libertà individuale, base irrinunciabile delle democrazie moderne. Voglio pertanto fare un appello alla ragione e alla coscienza di tutti noi e di tutti voi, in quanti membri del Senato, vale a dire di questa Camera alta, di questa istituzione a cui la gente guarda come un punto fermo nella confusione dei momenti di crisi"
Umberto Veronesi
Brano tratto dal suo intervento al Senato durante la discussione del DDL a proposito della sospensione dell'alimentazione artificiale nei soggetti in stato vegetativo permanente
PS: da segnalare anche l'intervento di Pietro Ichino, pubblicato oggi su La Stampa
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5583&ID_sezione=&sezione=
martedì 10 febbraio 2009
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