Gli importanti cambiamenti nello scenario politico del paese si riflettono e si alimentano di cambiamenti più vasti e profondi della società italiana. Il nuovo partito del PDL è solo l'aspetto più evidente e statutario della nascita di una nuova cultura e di un nuovo costume, espressioni dello stesso cambiamento, legato alla nascita della nuova destra italiana.
Di alcuni di questi aspetti non strettamente politici tratta l'interessante articolo di Pietrangelo Buttafuoco sulla Stampa che riporto di seguito.
- Alleanza nazionale che tra due giorni non ci sarà più, diventerà Popolo della Libertà in sposalizio con Forza Italia e come in ogni matrimonio porterà in dote un suo patrimonio. Di quello immobile – fatto di ricchi edifici, appartamenti e proprietà sparsi per l’Italia – i contraenti se la risolveranno dal notaio. Di quello impalpabile, invece, quello dell’immaginario fatto di libri, film, musica e tendenze, se ne può fare una conta perché è materia culturale già bene esposta al sole. Una materia già condivisa. A partire dal linguaggio esplicito dell’atto fondativo di questa stagione politica prossima a quagliare: il discorso del predellino. L’estemporanea pensata di Silvio Berlusconi del 22 novembre del 2007, infatti, quella che dà avvio al Pdl, sempre che i segni siano rivelatori non accade a caso. Comincia da piazza San Babila a Milano, luogo simbolo della patria identitaria della destra, ma nel costringere col suo happening il ritroso Gianfranco Fini a capitolare verso più opportune nozze, il Cavaliere adotta un tipico stilema caro al sentimento dei militanti già sambabilini: qualcosa a metà tra il situazionismo e il futurismo.
Con slancio marinettiano Berlusconi supera a destra lo stesso Fini e assorbe quegli umori dada e quelle monellerie goliardiche che, di fatto, lo fanno sentire padrone di casa perfino nel luogo più antitetico alla casa liberale: il festival di Atrjeu, la kermesse romana di tarda estate organizzata ogni anno da Giorgia Meloni all’insegna de “La storia infinita”, il best seller di Michael Ende, il romanzo che segna l’emancipazione rispetto ad un altro mito ormai archiviato dalla destra pre-predellino: “Il Signore degli Anelli” di Tolkien. Quello, appunto, dei Campi Hobbit. Come dire: un’era fa. An non ha elaborato un progetto sulla cultura popolare di massa ma una certa sintonia col sentimento diffuso degli italiani le riesce in virtù di veri e propri protagonisti pop. Appena archiviata la stella di Daniela Santanchè, An ritrova in Renata Polverini, leader dell’Ugl, un’altra icona dell’universo femminile. Tutto però è pop.
Accanto a quella che fu la tivù di Cristiano Malgioglio poi, o la simpatia di Lando Buzzanca e quella di Lino Banfi, trionfa lo sdoganamento luciferino di Ignazio La Russa fatto da Rosario Fiorello. Per la prima volta un post-missino diventa tormentone: “Di-gi-a-mo-lo!”. Il popolo di An post-predellino adotta ancora quali beniamini gli attori del Bagaglino e le belle labbra di Elisabetta Canalis (additata quale “militante”). Dall’Olimpo dello sport, per esempio, dopo Nino Benvenuti, i portatori di dote esaltano oggi Gianluigi Buffon (avvistato con celtica), quindi Rino Gattuso (emblema del celodurismo meridionale), Fabio Capello e – infine – il campione di rugby Andrea Lo Cicero. Tutti ben ritratti da Michele De Feudis, tra i più bravi cercatori di tendenza nel mondo della militanza di destra. E se tutto questo appropriarsi genera un’inedita familiarità coi segni e coi simboli della contemporaneità, per la prima volta il mondo di An esce dal tunnel esistenziale: mai più esuli in patria.
Due morti fatti martiri, Fabrizio Quattrocchi, ucciso dagli islamisti in Iraq, e Gabriele Sandri, il tifoso laziale ucciso in una maledetta giornata di sport, rinnovano oltre il triste rituale della guerra civile e degli anni di piombo il labaro dei Cuori Neri. Ma tutto è pop. Al prezzo di un frizzante frullato dove con Marco Masini che canta “E’ un paese l’Italia? (sostituendo nelle hit d’appropriazione indebita anche “Povera Patria” di Franco Battiato), convivono il Dalai Lama e la rinnovata estetica romantica: quella di Fight Club per esempio, sia in pellicola che nel libro di Chuck Palhaniuk. Il partito di via della Scrofa in tema di professori e letterati è certamente debole. Fatta eccezione per un navigato professionista dell’organizzazione culturale qual è Umberto Croppi, oggi assessore a Roma, e per un altro impavido assessore quale Carlo Sburlati (solitario in terra ostile con il suo Premio Acqui, bistrattato rispetto al sontuoso Grinzane), An è ancora un posto d’improvvisazione.
Accanto all’instancabile attivismo di un Maurizio Gasparri che ingaggia potenti battaglie contro il cinema dei salotti (ha appena organizzato una visione aperta al pubblico di “Katyn” il film di Andrzej Waida praticamente censurato per manifesta indifferenza della società intellettuale) e contro la Rai delle terrazze (si ricordi la fatica di portare in video la fiction su Perlasca, quella sulle Foibe e quella, mai riuscita, sul delitto Calabresi), An può contare su ffweb, il magazine in rete di Filippo Rossi legato direttamente a Gianfranco Fini e allo storico Alessandro Campi (dove, a fianco di Angelo Mellone, crescono i nuovi talenti quali Diletta Cherra, Antonio Rapisarda e Federico Brusadelli). Sul tavolo del patto matrimoniale c’è anche un giornale. E’ il Secolo d’Italia e se già il quotidiano diretto da Flavia Perina è direttamente coinvolto nella confezione dei numeri congressuali per l’uno e per l’altro contraente, c’è da ricordare quanto importante sia stata l’attenta regia di Luciano Lanna nel veicolare arredi e corredi della novità post-predellino.
Lanna è l’autore di Fascisti Immaginari (scritto con Filippo Rossi, edizioni Vallecchi, trentamila copie) ed è dalle pagine del Secolo, infatti, rimbalzate sugli altri giornali, che la destra di An ha aggiornato il proprio album. Basta dunque con lo stucchevole richiamo ad Antonio Gramsci e a Pierpaolo Pasolini, piuttosto si sollecita una rilettura di Luciano Bianciardi e di John Fante che, dentro An, rappresenta l’America che piace. Accanto a Paolo Borsellino, il magistrato simbolo della lotta alla mafia, An colloca nel proprio bagaglio Roberto Saviano. L’uno e l’altro molto amati: per una militanza esplicita del primo e per un’affinità elettiva il secondo (con coraggio – specie a mettersi contro la fauna politically correct, vendicativi peggio dei casalesi – Saviano rivendicò il diritto di salutare in Giorgio Almirante un esempio, per non dire delle letture: Ezra Pound con cui l’autore di Gomorra chiuse una splendida puntata tivù con Enrico Mentana e poi Ernst Jünger). Certo, An non ha più la sofisticata attrezzeria intellettuale su cui poteva fare affidamento la destra degli Ugo Spirito, dei Volpe e degli Ettore Paratore, tanto per scandalizzare con i nomi più ingombranti, non ha la potenza espressiva di una realtà eccentrica quale Casapound (il centro sociale romano di Gianluca Iannone), ma questa è la stagione del matrimonio consumato in fretta. E non con fiero occhio e svelto passo, ma con mezzo tacco. Fuori dal predellino.
Pietrangelo Buttafuoco
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200903articoli/42043girata.asp
giovedì 19 marzo 2009
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