venerdì 22 maggio 2009
Chi vota PDL è solo un berluscones?
Il PDL è sicuramente una grande realtà politica del paese. Il principale partito italiano. Con una maggioranza numerica relativa schiacciante (non lontanissima da una maggioranza assoluta). Ha una guida carismatica forte e decisamente trainante nel paese. Che non è messa in discussione da nessuno. Semmai riconosciuta come imbattibile anche dalle figure di maggior spicco dello stesso PDL. E questo, che è sicuramente un elemento vincente e di forza del PDL, ne è allo stesso tempo l'elemento di maggior criticità: la grande e indiscussa leadership di Berlusconi fa sì che il PDL appaia e sia sostanzialmente il partito di Berlusconi, gestito e mosso da una gerarchia ristretta a lui strettamente referente e dipendente. Con il rischio di un pensiero unico dominante, di un partito del padrone. E con il rischio - che è una speranza per i suoi avversari - che una volta dovesse venire a mancare la grande e potente leadership di Berlusconi, il PDL potrebbe subirne un contraccolpo mortale.
Ma è veramente così?
Il PDL, nato solo quest'anno, è una forza politica con una grande base reale: la grande storica maggioranza dei cittadini italiani moderati (storica in quanto risultata maggioritaria già nelle prime elezioni nel 1946). Lo stesso bacino elettorale che in gran parte fu della vecchia Democrazia Cristiana, il partito che governò il paese per oltre un cinquantennio dopo la nascita della Repubblica Italiana, ma anche di una parte consistente dei vecchi PSI, PLI e PRI, oltre che naturalmente di AN-MSI (che è entrato direttamente nella costituzione del nuovo PDL). Un bacino elettorale molto grande, composito ed eterogeneo, ma unito su alcuni punti fondamentali: la difesa della democrazia, della libertà individuale, della propria tradizione storico-religiosa, del lavoro, della capacità operosa del popolo italiano, della propria splendida terra, di tutti quei valori semplici ed essenziali che caratterizzano la base profonda del popolo italiano. Quello stesso popolo ritrovatosi politicamente orfano dopo tangentopoli, che coinvolse e portò alla scomparsa quei partiti cui quel popolo faceva prima riferimento, ed a seguito del quale sembrava oramai inevitabile ed ineluttabile la vittoria politica e culturale della sinistra italiana, fino ad allora nella sua grande maggioranza ben raccolta e rappresentata dal Partito Comunista Italiano, l'unico partito della prima Repubblica che era riuscito ad uscire pressocché indenne da tangentopoli. Dopo la crisi dell'ideologia comunista (il crollo del muro di Berlino nel 1989), il PCI aveva cercato di evolversi in una forma più moderna ed attuale, una nuova immagine di sé, iniziando tuttavia un processo difficile e forse non affrontato con la profondità che sarebbe stata necessaria, che ha determinato, di fatto, solo un tortuoso passaggio da una sigla all'altra (PDS, DS e, infine, PD) in assenza di un vero esame critico del proprio passato (che, semmai, si è cercato di mitizzare).
Dopo tangentopoli, nelle elezioni del 1994, sorprendentemente, il forte schieramento della sinistra è stato battuto da Berlusconi (che aveva fondato un nuovo partito, Forza Italia, che si presentò coalizzato con AN e Lega). Da allora, sia pure con alterne vicende elettorali, lo schieramento moderato ed opposto alla sinistra è riuscito ad affermare e rafforzare la sua posizione e la sua forza elettorale, approdando alla costituzione dell'attuale PDL, il grande partito moderato italiano. Berlusconi ha certamente avuto un ruolo fondamentale in questo successo dello schieramento moderato, lo ha reso possibile, ma dubito che questo schieramento, una volta venuta meno la sua leadership, possa scomparire nel nulla. Semplicemente perché esisteva prima e continuerà ad esistere dopo Berlusconi.
I moderati italiani non sono una realtà omogenea. Sicuramente, come ho detto precedentemente, è comune la difesa della tradizione e dei valori storico-culturali italiani, tra i quali certamente un ruolo di grande rilievo ed importanza rivestono quelli cristiani e, particolarmente, quelli cattolici propri della Chiesa Cattolica di Roma. Certamente lo stretto legame storico-culturale dell'Italia con lo stato Vaticano è uno degli elementi peculiari e più caratterizzanti per il nostro paese. Nel bene e nel male. Tuttavia è evidente che anche questa maggioranza moderata che è portata a difendere la tradizione culturale cattolica radicata nel paese non può essere considerata una maggioranza di tipo confessionale. I cattolici praticanti costituiscono una minoranza di questo schieramento, dove prevalgono comunque le convinzione della necessità e la consapevolezza dell'importanza della laicità dello stato. La maggioranza dei moderati, infatti, pur credendo nella difesa - talora ostentata con orgoglio - della matrice cattolica della propria tradizione culturale, sanno e credono giusto distinguerla dal necessario pragmatismo politico e dalla indispensabile neutralità dello stato e delle sue leggi rispetto alla religione. La vittoria degli storici referendum (grazie anche al voto dei moderati) sul diritto al divorzio (1974) ed alla interruzione volontaria della gravidanza (1981) lo hanno dimostrato in maniera definitiva.
Tuttavia, anche tra chi vota PDL, la figura del suo attuale leader non è affatto considerata ideale.
Molti, pur riconoscendone i meriti e le capacità, non lo amano. Alcuni, addirittura, lo tollerano appena, pur continuando a votare per il suo partito. Altri, infine, pur riconoscendosi nel suo schieramento, non riuscirebbero a votare PDL proprio per l'incompatibilità con la figura di Berlusconi, se non fosse per la presenza nel partito di outsider come Gianfranco Fini. Come nel caso di una certa Sofia Ventura: http://www.corriere.it/politica/09_maggio_21/sonia_meli_6ea74df0-45f9-11de-8c01-00144f02aabc.shtml
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento