martedì 12 maggio 2009

Snobismo e respingimento


LUCA RICOLFI sulla Stampa del 12/5/2009



Respingimento. Su questa parola altamente evocativa gli animi si stanno dividendo. Da una parte il ministro dell’Interno Maroni e la Lega, orgogliosi che l’Italia sia riuscita - per la prima volta - a impedire a diverse imbarcazioni cariche di migranti di raggiungere illegalmente le nostre coste. Dall’altra la Chiesa, le organizzazioni umanitarie e ieri anche il Consiglio d’Europa.

Preoccupati che fra i migranti vi possano essere persone che, una volta sbarcate in Italia, avrebbero chiesto e ottenuto asilo politico. In mezzo, su posizioni leggermente meno estreme, si collocano i nostri due maggiori partiti, il Popolo della libertà e il Partito democratico, il primo tentato di inseguire la Lega (nonostante i distinguo di Fini), il secondo tentato di inseguire la Chiesa (nonostante i distinguo di Fassino).

Che i partiti di governo, nonostante qualche timido mugugno, plaudano all’azione del ministro dell’Interno è del tutto naturale. La sicurezza è uno dei punti chiave del programma del centro-destra, e sarebbe strano che il «respingimento» dei barconi nei porti di partenza non fosse salutato con un sospiro di sollievo. Quel che a me pare invece meno scontato è l’accanimento con cui il Pd e il suo neosegretario da tempo combattono qualsiasi idea venga partorita dal ministro Maroni. Non solo non mi pare né ovvio né normale, ma mi pare estremamente interessante, per non dire rivelatorio. L’ostinazione con cui la sinistra respinge al mittente qualsiasi proposta concreta in materia di sicurezza, senza essere minimamente sfiorata dal dubbio di aver torto, ci fornisce una preziosa radiografia dei suoi mali.

L’astrattezza, prima di tutto. Astrattezza vuol dire non voler vedere la dimensione pratica, concreta, materiale di un problema. Se non fossero ammalati di astrattezza i dirigenti del Pd capirebbero che il problema dell’Italia è che attira criminalità e manodopera clandestina più degli altri Paesi perché non è in grado di far rispettare le sue leggi, e che l’unico modo di scoraggiare l’immigrazione irregolare è di convincere chi desidera entrare in Italia che può farlo solo attraverso le vie legali. A questo serve il «respingimento», ma a questo serviva anche la norma che prolunga da 2 a 6 mesi la permanenza nei centri di raccolta degli immigrati (i vecchi Cpt, ora ridenominati Cie), una norma necessaria ma ottusamente combattuta dall’opposizione. Senza il respingimento (in mare) i trafficanti di immigrati continuerebbero a scaricarli sulle nostre coste, senza il prolungamento dei tempi di permanenza (nei Cie) l’identificazione sarebbe perlopiù impossibile, e continuerebbe la prassi attuale, per cui il clandestino viene trattenuto qualche settimana e poi rimesso in circolazione senza possibilità di riaccompagnarlo in patria. Io capisco che si possano avere seri dubbi sulle cosiddette ronde, o sui medici-spia (denuncia dei malati clandestini) o sui presidi-spia (denuncia dei genitori clandestini di bambini accolti nelle nostre scuole), e io stesso ne ho molti. Ma non capisco il rifiuto pregiudiziale di provvedimenti di puro buon senso, la cui unica funzione è di ristabilire quello che tutti i governi degli ultimi vent’anni avevano sbriciolato, ossia un minimo di deterrenza. Tra l’altro questo è uno dei pochi punti fermi degli studi sulla lotta al crimine: minacciare pene più severe serve pochissimo, quel che serve è rendere credibile la minaccia.

Ma non c’è solo astrattezza, c’è anche molta presunzione, per non dire molto snobismo. Lo sa il segretario del Pd che la maggior parte degli italiani approva l’azione del ministro Maroni?

Sì, probabilmente lo sa, ma si racconta la solita fiaba autoconsolatoria. Gli italiani non sono quelli di una volta, Berlusconi li ha rovinati, la Lega li ha incattiviti, noi politici illuminati non possiamo farci guidare dai sondaggi, noi dobbiamo riforgiare le coscienze, corrotte e intorpidite da vent’anni di berlusconismo. E’ la solita storia: «alla sinistra non piacciono gli italiani», come scrisse fulmineamente Giovanni Belardelli quindici anni fa, allorché la «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto, sconfitta e umiliata, non si capacitava che un rozzo imprenditore lombardo avesse potuto sconfiggere una classe politica colta e raffinata qual era quella del vecchio Pci.

E qui si arriva all’ultimo e più grave male della sinistra, la sua distanza dai problemi delle persone normali, specie se di modeste origini o di modesta cultura. Quando si parla di criminalità, di sicurezza, di immigrazione clandestina, nella gente c’è certamente anche molto cattivismo gratuito, molta insofferenza, molta intolleranza. Ma una forza politica dovrebbe sapere che i cattivi sentimenti non vengono dal nulla, e quelli buoni hanno talora origini imbarazzanti. L’insofferenza verso gli immigrati è più forte nei ceti popolari perché è nei quartieri degradati che la sicurezza è un problema grave; ed è innanzitutto per chi non ha grandi risorse economiche che la concorrenza degli stranieri per il posto di lavoro e per servizi pubblici può diventare un problema serio. L’apertura verso gli stranieri, il sentimento di solidarietà, l’attitudine a tutti accogliere albergano invece in quelli che lo storico inglese Paul Ginsborg ha battezzato i «ceti medi riflessivi», e raggiungono l’apice fra gli intellettuali, dove - soddisfatti i bisogni primari - ci si può dedicare all’arredamento della propria anima: chi ha un lavoro gratificante e un buon reddito, chi può permettersi di vivere nei quartieri migliori di una città, chi non deve combattere per un posto all’asilo o per una prenotazione in ospedale, può coltivare più facilmente un sentimento di apertura.

Insomma, l’insofferenza degli uni è spesso frutto dell’emarginazione, il solidarismo degli altri è spesso frutto del privilegio. Possibile che la sinistra, che pure continua a dire di voler rappresentare gli umili, non riesca a rendersi conto del paradosso? Ma forse in questi giorni assistiamo anche, lentamente, quasi impercettibilmente, a uno smottamento. Nel Pd qualche timida voce di concretezza e di pragmatismo si è pur fatta sentire: prima Fassino, poi Parisi, poi Rutelli. Speriamo che non siano rapidamente sopraffatti dalla forza del passato, dai tanti luoghi comuni che essi stessi hanno alimentato e che ora frenano il cambiamento.

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