venerdì 27 marzo 2009

PRIMO GIORNO CONGRESSO DEL PDL: INSOPPORTABILE


Io credo nel progetto del nuovo PDL. Sono convinto della giustezza e dell'importanza del nuovo grande partito del centro-destra italiano, nato dalla fusione di Forza Italia, creata da Berlusconi già quindici anni orsono, con Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini (e altri gruppi minori). Riconosco gli indubbi meriti e i successi talora sorprendenti di Silvio Berlusconi nel rendere possibile questa importante operazione politica, nonché la sua innegabile guida carismatica.
Però non ero là. E ne sono contento.

Il congresso di Berlusconi è iniziato poco prima delle 18.00, quando è entrato nel Nuovo Palafiera di Roma sulle note di "Meno male che Silvio c'è". Al suo ingresso tutti i delegati si sono alzati in piedi in un tripudio di applausi tra cori di «Silvio! Silvio!». Poi si è seduto accanto al presidente del Senato, Renato Schifani, prima di salire sul palco acclamato dalla folla di delegati del Popolo delle libertà. Dopo il saluto di Wilfried Martens, presidente del Partito Popolare Europeo, alle 18.36 comincia il discorso di Silvio Berlusconi: una lunga autocelebrazione, ricca di amarcord per gli amici Fini e Bossi, un aggiornamento sondaggistico, richiami a Don Sturzo, De Gasperi, Craxi, alla libertà («La libertà non è una gentile concessione dello stato. Viene prima dello stato, è un diritto naturale»), ai nemici della libertà (i comunisti storici - Mao, Stalin e Pol Pot - ma anche quelli della sinistra nostrana - da Togliatti fino ai leader attuali "che non piacciono più nemmeno alla sinistra" - nonché a Pecoraro Scanio), un richiamo agli amati Stati Uniti (citando il suo storico discorso al Congresso), all'operato del governo (incaricando tutti i presenti di farsene portavoci) ed ai successi personali in politica estera, concludendo, dopo un richiamo ai valori del patriottismo e delle radici cristiane, con queste parole: «A tutti voi un forte abbraccio e l'augurio di realizzare tutti i sogni e i desideri che portate nel vostro cuore. Viva il partito degli italiani, viva il PDL, viva l'Italia. Potrete dire ai vostri figli e ai figli dei vostri figli: "io quel giorno c'ero"». Sono da poco passate le 20.00, applausi a scena aperta, che riescono a coprire almeno un po' l'orrida "Meno male che Silvio c'è" sparata dai megafoni .


Scrive Stefano Folli sul Sole24ore: "Senza dubbio l'egemonia berlusconiana trova la sua consacrazione, nel momento in cui il congresso, nella scenografia e nella regia, celebra il carisma del capo. Se fosse solo questo, tuttavia, le giornate della Fiera di Roma sarebbero quasi inutili. Quello che ci si attende da Berlusconi è un passo avanti, un'indicazione sul futuro del Paese. Una visione non generica e non solo egocentrica. Finora il leader si è nutrito della propria personalità e ha fatto omaggio di se stesso agli italiani. Ma il domani del Pdl come «partito liberale di massa», semmai questa espressione ha avuto un senso, si lega alla fine della dimensione carismatica e all'avvio di una nuova epoca." Allo stato delle cose, c'è da essere scettici. Nel bene e nel male, Berlusconi è da sempre uguale a se stesso. Il partito gli serve come tribuna per considerarsi sempre in campagna elettorale, a caccia di consensi: l'attività che forse gli è più congeniale."
"Perché Berlusconi dovrebbe rinunciare alla dimensione carismatica, l'unica in cui si sente a suo agio? Una possibile risposta riguarda la definizione di progetto adeguato e non propagandistico per la modernizzazione dell'Italia. Un complesso di riforme e di innovazioni, istituzionali e amministrative, che richiedono tra l'altro un coinvolgimento dell'opposizione. Sarebbe interessante se il congresso fondativo del Pdl e il suo leader si inoltrassero lungo questo sentiero. In fondo è quello che propone Gianfranco Fini. E non è un caso se proprio alla vigilia del congresso siano riemerse le due diverse idee delle istituzioni (e del ruolo del Parlamento) interpretate dal premier e dal presidente della Camera. L'ennesima tensione tra i due aiuta a capire perché esista una divergenza di non poco conto al vertice del Pdl. Fini non ha un ruolo politico diretto, ma incarna una funzione istituzionale che gli offre un rilevante potere d'interdizione nei confronti del premier e del suo populismo. L'insofferenza di quest'ultimo per le lungaggini parlamentari è nota. Il fatto che diventi via via più aspra è significativo di uno stato d'animo e anche di un modo di concepire il governo del Paese. Ma non c'è dubbio che il Pdl nasce con una contraddizione nel suo vertice. Nessuno può sottovalutarla. Si può ricomporre, naturalmente. Ma occorrerebbe la volontà di fare del Pdl un partito compiuto, con i suoi programmi e le sue regole. Un partito capace di esprimere una cultura istituzionale matura, rinunciando in parte al carisma del leader."

Sono d'accordo con Stefano Folli.

(La foto è tratta da corriere.it)
link dell'articolo di Stefano Folli:
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/congresso-pdl/commenti/folli-pdl-trappola-carisma.shtml?uuid=89d96074-1ad2-11de-b96a-a70fa1246a48&DocRulesView=Libero

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