sabato 3 ottobre 2009

L'Italia distorta


«È dai tempi di Mussolini che un governo italiano non interferiva sui media in maniera così eclatante e preoccupante».
È il giudizio espresso in un articolo («La museruola agli informatori») dell'Economist sullo stato dell'informazione in Italia sotto il governo di Silvio Berlusconi. L'articolo del settimanale britannico prende spunto dalla manifestazione per la libertà di stampa che si terrà oggi sabato 3 ottobre per osservare che i giornalisti e tutti gli italiani «hanno ottime ragioni per essere preoccupati» e dunque «per protestare». L'Economist ricorda le richieste di danni avanzate dal premier nei confronti dei quotidiani la Repubblica e l'Unità (quest'ultima, scrive, «potrebbe chiudere» se dovesse risarcire Berlusconi con i 2 milioni di euro che le sono stati richiesti); la presenza di numerosi media direttamente o indirettamente riconducibili al presidente del Consiglio; e «l'assalto senza precedenti lanciato alla Rai», con riferimento alla trasmissione "Annozero", dove è stato concesso spazio ad «una donna (Patrizia D'Addario) che sostiene di essere stata pagata per trascorrere una notte con il primo ministro».

L'articolo dell'Economist cita anche l'ultimo rapporto sulla libertà d'informazione della Freedom House che declassa l'Italia al 73/esimo posto su 195 Paesi analizzati: uno Stato solo «parzialmente libero», appena un gradino sopra la Bulgaria. «Almeno sotto questo punto di vista - è l'analisi del settimanale - l'Italia di Silvio Berlusconi si sta allontanando dall'Europa occidentale per somigliare alle più deboli democrazie dell'Est».

Ma può questa essere seriamente ritenuta un'analisi corretta del nostro paese?

"l'Italia è un paese paragonabile alla Bulgaria, in quanto a indipendenza dei media, o è una democrazia casinara e chiacchierona quante altre mai? Il regime sta imbavagliando i giornalisti - «muzzling», come dice il titolo dell'Economist - oppure i giornalisti non parlano d'altro che del regime e dei suoi vizi?" - scrive Antonio Polito sul Riformista - "Spiegare a un marziano (che sbarcasse nel nostro paese;ndnick) come stanno veramente le cose è difficile. E, a quanto pare, stavolta è difficile spiegarle anche all'Economist, caduto in uno dei suoi rari strafalcioni da superficialità. Quando scrive che mai l'Italia aveva vissuto tanta ingerenza sui media da parte del regime berlusconiano, il settimanale deve aver infatti dimenticato (oltre al fatto che il primato delle querele ai giornalisti non appartiene certo all'attuale governo, come dimostra, dati alla mano, un interessante articolo di Franco Bechis su Libero; ndnick) quarant'anni di regime democristiano. Ci sono stati tempi - cari colleghi londinesi - in cui in Italia c'era un solo canale e tutto dc, si licenziavano Dario Fo e Franca Rame in tronco da Canzonissima perché si erano permessi una blanda ironia sul governo, tutti i giornali erano filo-governativi, l'opposizione comunista era censurata sistematicamente, ed esisteva letteralmente un solo giornale che si poteva permettere di criticare il governo (si chiamava l'Unità, e io me lo ricordo bene, perché è lì che negli anni 70 ho cominciato a fare il giornalista). Il grado di libertà di informazione che si respira oggi in Italia è incommensurabile con quella lunga epoca - che proprio Berlinguer definì «una cappa di piombo» che gravava sul paese. E un settimanale come l'Economist non può avere amnesie storiche di queste proporzioni".

(...) "È poi vero che la qualità dell'informazione televisiva non si giudica solo dai tg, e che nei programmi pomeridiani sia di Rai sia di Mediaset si assiste a un festival di demagogia sguaiata e brutale, si incita al razzismo, si celebra la fatuità, si educano intere generazioni allo spirito acritico e debosciato tipico dei regimi, contribuendo a fare della nostra democrazia sempre più una democrazia senza cittadini (anche se su questi programmi nessuno protesta, purché Annozero vada in onda).

Ed è infine vero che Silvio Berlusconi passa un numero sconsiderato di ore a studiare sconsiderate azioni contro la libertà di informazione, per ottenerne in genere solo l'effetto opposto, la santificazione dei suoi torturatori. Sia citando per danni i giornali che si occupano della sua vita sessuale, sia mandando avanti il governo a impicciarsi di programmi Rai quando essi sono già sotto la sua vigilanza (visto che in parlamento ha la maggioranza), sia blaterando contro i giornalisti a lui sgraditi ogni volta che si trova in Bulgaria o nei dintorni.

La sua vera e propria ossessione per i media - non per niente è un tycoon che si è fatto fondando una tv - lo rende dunque il bersaglio perfetto dell'opposizione, e trae in inganno perfino rigorosissimi giornali come l'Economist. Non è escluso che Silvio Berlusconi, se potesse, sarebbe un dittatore. Ma l'Italia è un paese troppo grande e troppo libero perché egli possa essere molto di più che un dittatore da operetta. Prova ne sia, cari colleghi dell'Economist, che in quindici anni ha perso due elezioni su tre, e in entrambi i casi controllava la Rai proprio come ora.

I giornalisti italiani che scenderanno domani (oggi;ndnick) in piazza per dar ragione all'Economist non sono in effetti molto liberi, ma lo sono un po' di più di quel collega della Bbc che fu licenziato dopo un processo perché aveva accusato Tony Blair di mentire sull'Iraq (da noi, un giudice ha invece reintegrato Santoro in Rai). E io, giornalista che in piazza non andrà, se permettete mi sento un po' offeso se da Londra mi danno dell'imbavagliato. Se lo fossi mi licenzierei, non chiederei aiuto alla Fnsi per farmi rinnovare il contratto, come ha fatto Travaglio".

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Da notare, inoltre, che anche all'estero è possibile trovare opinioni più complete e più corrispondenti al reale stato generale della nostra editoria, come quelle espresse da Stepan Faris sul Time: "While much has been made of Prime Minister Silvio Berlusconi's grip on Italian television — he owns three of the biggest commercial stations and in his role as Premier has influence over state broadcaster RAI — the country's printed press has its own conflicts of interest. The Fiat holding group has controlling stakes in Milan daily Corriere della Sera and Turin-based La Stampa. Daily La Repubblica is owned by Carlo De Benedetti, a business rival of Berlusconi's with interests in energy, automobiles and health care. Il Sole 24 Ore, the country's financial paper, is owned by Italy's main industrial lobby. "Italian entrepreneurs tend to depend largely on Italian politics," says Ricardo Franco Levi, an opposition parliamentarian and the former editor in chief of L'Indipendente, a short-lived 1991 attempt at a truly independent newspaper. "The possibilities of aggressive reporting are very, very limited."

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