domenica 31 gennaio 2010

Peppone non c'è più

Memorabile post di Davide Giacalone:

"C’era una volta la dirigenza comunista, che in Bulgaria andava a fare i corsi d’aggiornamento. Ora ci sono gli amministratori di sinistra, che in Bulgaria comprano case, in società con un missino. C’era una volta un partito totalizzante, che ben prima del fisco, e senza neanche chiedere il quadro RW, avrebbe fermato il compagno investitore e l’avrebbe strapazzato. Ora c’è una sopravvivenza partitica, che neanche riesce a reagire quando i compagni amministratori volano per il mondo a spese della collettività. Gli scandali bolognesi non sono la fine di un mondo, ma gli effetti di un mondo finito. Lo stesso che ora si vanta di un Delbono dimesso, per questioni di femmine, e omette di ricordare che Bassolino è ancora al suo posto, per questioni di potere.

Un tempo si diceva di Bologna che era la città delle tre “T”: tette, torri e tortellini. Il sindaco, Flavio Delbono, è caduto sulle prime. E non s’è più ripreso. Ma sbaglia chi crede che questa sia solo una storia da provincia pecoreccia, perché Bologna era anche la capitale dell’amministrazione di sinistra, il vessillo di quel buon governo comunale e regionale sul quale generazioni di compagni hanno fantasticato e gonfiato il petto. Quel che succede oggi è solo la conseguenza di ciò che è in corso da tempo: quel sistema sta crollando. Non per gli attacchi che subisce dall’esterno, ma perché si decompone al suo interno.

Regioni e comuni “rossi” hanno dimostrato, nel tempo, una stabilità amministrativa sconosciuta nel resto d’Italia. Molti loro amministratori sono stati ottimi sindaci, ma la forza elettorale non derivava dai loro meriti, bensì da una struttura politica che modellava e governava un blocco sociale. Un blocco al quale non si sfuggiva, che il tempo ha progressivamente spaccato. Ragioniamoci, e vedrete che anche l’esuberante sessualità di Delbono è un segno che porta alla fine.

Alcune, vaste zone d’Italia furono rosse subito dopo la Liberazione, e tali sono restate per un tempo infinito. Il collante non era solo la propaganda. Che l’Unione Sovietica fosse il paradiso dei lavoratori non lo credevano in paradiso, ma nemmeno i lavoratori. Il fatto è che in quelle terre il partito era tutto. Nascevi e ti mettevano un nome di battaglia. Muovevi i primi passi, e tiravi i calci al pallone presso la Casa del Popolo, per poi far tornei con quegli smidollati borghesucci dell’oratorio. La Casa del Popolo, del resto, era anche la sede del glorioso Partito Comunista Italiano, nonché una proprietà immobiliare intestata ad una cooperativa, della quale facevano parte tante persone, ma a patto d’essere iscritte al partito: se uscivi dal partito, perdevi la quota. Per mettere su famiglia prendevi una compagna, magari educata dalle suore, ma pur sempre conosciuta in quelle passeggiate di montagna in cui i pionieri, ragazzi come te e come tutti, si vestivano manco fossero partigiani. Ti dicevano: si deve conoscere la montagna, non si sa mai. I più imbecilli ci credevano, e qualcuno l’hanno preso mentre sparava sul serio. Intanto ci hai conosciuto la moglie, e va bene così. Se i genitori non ti lasciavano la casa, andavi a prenderne una delle cooperative, diventando socio. Per riempire il frigorifero facevi la spesa alla cooperativa, diventando socio. Se andavi a caccia ti accompagnava l’Arci, associazione del tempo libero, naturalmente comunista. E anche se alle donne preferivi gli uomini, l’Arci ti organizzava, come se ci sia bisogno d’associarsi per sollazzarsi in double-face. Compravi la macchina e il partito ti assicurava, con l’Unipol. Andavi a lavorare e il partito ti tutelava, con la Cgil. Ti associavi ad altri per coltivare il campiello, e il partito ti assisteva e aiutava, con la Lega. Ti dava la banca, le feste popolari, le cose da pensare e quelle da dire. E tutto questo ha retto per un tempo infinito, come se intere lande fossero finite dentro una goccia d’ambra. Rossa.

La macchina era diretta da uomini del partito, che provvedevano alla vita di ciascuno. Era il comune a dovere dare la licenza per costruire il supermercato e, guarda caso, la dava solo alla Coop. Anche la bocciofila, era quella dell’Arci. E alla vendemmia tutti si abbracciavano, essendo parte dello stesso popolo, con gli stessi ideali, con i medesimi e venerati capi. Il partito comunista di quei tempi, del resto, dava indietro un discreto servizio: i dirigenti erano controllati. E’ vero, infatti, che erano rari i casi di ladrocinio e arricchimento personale, al contrario di quel che avveniva ai democristiani che smaneggiavano con i palazzinari romani. Il partito era occhiuto, e prendeva solo per sé il diritto di maneggiare mazzette, tangenti, favori e privilegi. Non erano zone più oneste, ma solo meno libere e più socialmente controllate.

Vale anche per i costumi personali, fino alla patta dei pantaloni. I comunisti erano moralisti e bacchettoni, e anche quando il grande capo, Palmiro Togliatti, si prese una compagna che non era sua moglie, ci fu chi ebbe da ridire. Nelle lussurie della provincia poteva capitare che il tal dirigente locale non disdegnasse l’avventura nel fienile, poi divenuta un pomeriggio nell’alberghetto fuori mano, ma la pagava, passando da assessore ad amministratore di cooperativa, per poi essere assegnato al reparto gay del tempo libero e della cultura. Dante Alighieri non era nessuno, in quanto a contrappasso. Un tempo il sindaco non poteva permettersi di lasciare la seconda moglie (pare incinta) per continuare a girare il mondo con la segretaria. Sarebbe intervenuto il partito e gli avrebbe sigillato le mutande, avviando la procedura (discreta, silenziosa, direi: curiale) di retrocessione.

Ma mentre il sistema di potere restava in piedi, gli uomini cambiavano e il partito si disfaceva. Le ideologie finivano (era ora) nella pattumiera, lasciando libera la via agli arrivisti, ai cultori dei rapporti trasversali. Alla fine, come pare sia capitato a Piacenza, il sindacato avvertiva che sarebbero arrivati dei controlli in cantiere. Un allarme non del tutto coerente con gli interessi dei lavoratori, che, però, non sono più comunisti, e manco italiani. I capi delle Coop spiano i dipendenti e li sfruttano, trattenendo pure i loro soldi. I capi di Unipol hanno paccate di soldi all’estero, con i quali fanno le pernacchie ai militonti. E tutto questo si vede e stravede. Sicché, quando viene lanciato l’appello alla difesa della rossa Bologna, magari con qualche foto della Resistenza, i compagni, memori del pessimo servizio reso da Sergio Cofferati, non dimentichi dell’essere stati usati per assicurare prebende ai dirigenti, e consapevoli che il mondo degli affari è entrato in quei palazzi che si pretendono virginei, ha un moto di sana disillusione. Ma andate …..

E’ finita. Non saranno i prodiani a rimediare, semmai si candidano ad approfittare. E’ finita e noi, che contro quel mondo, contro quel blocco sociale, ci siamo battuti per una vita, quasi ci lasciamo prendere da un pizzico di nostalgia. C’era del buono, in quel mondo, ma ora c’è Delbono, a ricordarci che c’era anche molto male, molta chiusura, molta paura della libertà. E’ finita, ed è bene che sia così."

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