martedì 9 marzo 2010

Comunque vada è un disastro

C'erano delle elezioni regionali da fare. C'erano delle liste dei candidati da presentare.

I° colpo di scena: la lista del Pdl non viene presentata nei termini stabiliti nel Lazio (stendiamo un velo pietoso sulle ragioni) e quella nella Lombardia viene esclusa in quanto ritenuta non accettabile dal tribunale d'appello (sulla base di un ricorso presentato dai radicali).

Dopo lo stupore e lo sconcerto di tutti (misto a godimento o sconforto a seconda dei casi), la maggioranza delle persone di buonsenso di entrambi i principali schieramenti - nonché del presidente della repubblica - convergono nel sostenere che non abbiano senso delle elezioni dove non è presente la parte politica maggioritaria. Dato che formalmente e in punta di giurisdizione la situazione non sembra risolvibile (almeno nel Lazio), bisogna trovare una 'soluzione politica' e concordata, giacché il diritto democratico al voto viene considerato preminente rispetto al rigido rispetto delle regole.

Nonostante l'urgenza (per la campagna elettorale già in corso e l'imminenza della data delle elezioni) e nonostante le dichiarazioni di principio dei più sulla opportunità - di più - sulla necessità di trovare un accordo, questo accordo non pare trovarsi. Da una parte c'è l'affanno del Pdl di trovare una soluzione all'imbarazzante empasse in cui si trova e che cerca di coprire, dall'altro un atteggiamento sornione del Pd che da un lato mostra segni di disponibilità, dall'altro non vuole rinunciare a far pagare politicamente quell'empasse al Pdl.

II° colpo di scena: entra in campo con tutto il suo peso Silvio Berlusconi e il Pdl, che, forti del fatto di avere una schiacciante maggioranza nelle camere nonché del fatto di essere al governo, evidentemente non fidando sul responso favorevole dei tribunali né sulla reale disponibilità del Pd ad un accordo, decidono di forzare la situazione: emanando il famoso 'decreto interpretativo' (controfirmato dal presidente della repubblica).

Che tuttavia, più che una soluzione, si dimostra presto essere una complicazione ulteriore del problema che andava risolto.

Fioriscono i pareri contrastanti dei costituzionalisti sul decreto, cominciano a fioccare i ricorsi ai Tar regionali, il Pd annuncia dura ostruzione in parlamento e manifestazioni di piazza (con Di Pietro che chiede l'impeachment di Napolitano), ma soprattutto il Tar del Lazio ritiene quel decreto inapplicabile: la lista Pdl nel Lazio non esiste. In Lombardia, invece, il Tar da ragione a Formigoni e riammette la lista Pdl.

Tutto chiaro ora? No.

Nel Lazio, sulla base sempre di quel decreto, si ripresenta nuovamente la lista. Nella speranza (flebile) che stavolta possa essere accolta. In Lombardia la lista Formigoni potrebbe essere esclusa nuovamente se fossero accettati i ricorsi presentati alla sentenza del Tar.

Oramai è un confondersi di ricorsi su ricorsi, di ricorsi ai ricorsi, di appelli alla Consulta, di richiami al rispetto delle leggi e della salvaguardia delle istituzioni democratiche, di mobilitazioni di piazza annunciate di una parte e dell'altra.

Quello che è certo, oramai, è che queste elezioni regionali, per un verso o per l'altro, sarebbe meglio non farle. Anzi, sarebbe stato ancora meglio che non ci fossero mai state.

Come scrive Massimo Franco: "Il disorientamento nasce dalla sproporzione fra il problema tutto sommato minore delle liste e l'enormità del caos che ne è scaturito. Nessun nemico della Seconda Repubblica sarebbe riuscito ad inventare un piano per delegittimarla più perfetto di questa manifestazione involontaria di dilettantismo."

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