giovedì 5 agosto 2010

Il vero fallimento del berlusconismo

Quello che è chiaro da oggi è che il berlusconismo ha fallito. Ha fallito perché non è riuscito ad attuare ciò che aveva promesso (né è pensabile che possa attuarlo da oggi in poi): una grande riforma liberale del paese, o almeno, in subordine, una vera e sostanziale riforma della giustizia.

L'unica cosa nella quale si è impegnato - finora con sostanziale successo, anche se con frequenti e ricorrenti scivoloni - è stata la difesa dalle vicende giudiziarie personali di Silvio Berlusconi (le stesse che si trascinano da quasi un ventennio), che tuttavia non sono che l'espressione più eclatante e visibile di una più generale "malagiustizia" italiana: quella caratterizzata da un uso dubbio, parziale e soprattutto distorto della giustizia, in primo luogo per i suoi tempi talmente lunghi da rendere qualsiasi procedimento giudiziario una condanna preventiva difficile da cancellare anche con una successiva assoluzione di fatto. Il problema è che la vera missione del berlusconismo non avrebbe dovuto essere la difesa dalla malagiustizia del sig. Silvio Berlusconi, ma una riforma della giustizia che riguardasse tutti i cittadini. Tanti dei quali vittime oscure e dimenticate dello stesso problema.

Scrive Davide Giacalone:
"Prima Monica Scaglia, poi Sophie Rossetti hanno preso carta e penna per descrivere la sorte dei rispettivi mariti (coinvolti nell’inchiesta Fastweb), oramai murati vivi e privati del diritto alla vita professionale e relazionale, impossibilitati a fare il loro lavoro e adempiere ai doveri nei confronti delle famiglie, il tutto non tanto per un capriccio mediatico (anche) di chi indaga, ma per la follia totale di un sistema giuridico che enuncia a chiacchiere la presunzione d’innocenza, salvo poi stritolarla sotto i cingoli di una giustizia cieca, inefficiente e con tempi da tortura medioevale. Dicono le due signore che i mariti continuano ad avere fiducia nella giustizia. Le e li capisco, ma sbagliano. Io, ad esempio, non ho alcuna fiducia nella giustizia. So che, nel corso del tempo e dei gradi di giudizio, la giustizia italiana mediamente azzecca, ha una discreta propensione a centrare la verità. Ma una verità emersa dopo dieci anni di procedimento e dopo mesi di privazione della libertà non è giustizia, bensì un insulto alla medesima.
Di questo, però, non ci si occupa."

E ancora:
"A Berlusconi hanno regalato il ruolo della vittima, che neanche gli si addice. Invece ha colpe considerevoli, consistenti nel non essere stato capace di coniugare la difesa di sé stesso con il ripristino della legalità. Votare su Caliendo è stata una miserrima corbelleria. Continuare a parlare dei milanesi come capi della mafia è quasi un insulto etnico. Ma il dovere di chi ha vinto le elezioni è quello di ridare una giustizia all’Italia, non quello di immunizzarsi dalla malagiustizia. Invece si reggono a vicenda, perché da una parte si sostiene che non è possibile mettere mano alle riforme fin quando il giustizialismo mira alla testa di chi vince le elezioni, e dall’altra si replica che non è possibile condividere alcuna riforma finché chi vince le elezioni è interessato solo a salvare la propria pelle. Nei giorni in cui ci si vuol consolare si sostiene che c’è del vero, da ambo le parti, ma la realtà è diversa: c’è un mare di marcio, da ambo le parti."


L'unica cosa oramai certa è che l'uomo che ci salverà da tutto questo non è Silvio Berlusconi.

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